Circolo della Cultura e delle Arti

Il Circolo della Cultura e delle Arti di Trieste, fondato nel 1946 per volontà dello scrittore Giani Stuparich, segue con attenzione le trasformazioni sociali e culturali della città nel contesto regionale ed europeo, aggiornando di anno in anno il proprio programma di divulgazione.
In tre quarti di secolo di attività ha realizzato oltre seimila manifestazioni: conferenze, convegni, pubblicazioni, concerti, mostre, dibattiti, tavole rotonde, ospitando centinaia di personalità tra le più importanti della cultura.

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Il Circolo - per tradizione consolidata - opera non limitatamente ai propri Soci, ma a vantaggio di tutta la collettività.
Le sue manifestazioni sono assolutamente gratuite ed aperte a tutti.

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1946 – 17 febbraio – 2024

78° ANNIVERSARIO DALLA FONDAZIONE DEL CCA

Venerdì 27 aprile, ore 17:00

Sala conferenze della Biblioteca Statale “S. Crise”, Largo Papa Giovanni XXIII n.6

Incontro con il prof. Vincenzo Guarracino

A cura del prof. Elvio Guagnini

 

Gli Italiani, qualunque sia la classe di appartenenza, alle “classi superiori” non meno che al “popolaccio”, sono oggi i più cinici del mondo: "ridono della vita: ne ridono assai più, e con più verità e persuasione intima di disprezzo e freddezza che non fa niun’altra nazione".

Privi di amor proprio e di orgoglio nazionale, "passano il loro tempo a deridersi scambievolmente, a pungersi fino al sangue", presi a combattersi l’un l’altro, in una sorta di bellum omnium contra omnes: questo perché ognuno, trincerato nel suo individualismo, per non essere travolto e oppresso, deve imparare a difendersi e combattere.

Cinismo, disprezzo, indifferenza, superficialità, inettitudine, dissimulazione: qualità, queste ed altre, da “paese senza”, non di un popolo che voglia essere “nazione” o “patria”, conseguenze della mancanza di una "società stretta", di “un commercio più intimo degl’individui fra loro” e della carenza di ogni spinta ideale e di un’etica civile capace di legare l’individuo alla collettività, sottraendolo al rischio della “misantropia” e alla coltivazione del suo “pestifero” particulare di guicciardiniana memoria.

È Leopardi a dire questo ed è bene non sottovalutarlo: tanto più sapendo che proprio nel ‘24, l’anno del Discorso sopra i costumi degl’Italiani (“acutissimo, tumultuoso e spesso paradossale”, l’ha definito Walter Binni), da cui il giudizio è estrapolato, è immerso, da “Eremita degli Appennini”, tra Operette morali e Zibaldone, nel perseguimento di una sua essenziale battaglia di verità, condotta per via fantastica e insieme riflessiva; e che il deserto e la “ruina immensa” del mondo circostante, la vita come desolante “serraglio di disperati” (come lo definirà nel Frammento sul suicidio, 1832), si applica eroicamente ad esplorarli ed esorcizzarli attraverso una scrittura, di volta in volta analitica ed appassionata, gelida e tagliente ma anche calda ed effusiva, incurante di abbellimenti e “cerimonie”, per corrispondere solo ai moti del “sentimento”.

Una battaglia di “verità”, un impegno di “civiltà”, per un “risorgimento” dalla “barbarie”, per contrastare “ragione geometrica”, “cinismo”, “strage delle illusioni”, con le armi di una corrosiva lucidità: davvero un “angelo” dalla spada sguainata, il Leopardi del Discorso, “chiuso nella sua corazza” di intelligenza, come lo vedrà Walter Benjamin in una celebre pagina sui Pensieri.

Attraverso una diagnosi impietosa, condotta con "la libertà e sincerità con cui ne potrebbe scrivere uno straniero", “senz’animosità” e al tempo stesso appassionata: costruttivo, insomma, sorretto dall’ansia di “ravvivare” quell’essenziale “amore verso la patria”, da cui hanno principio “probità e nobiltà” di un popolo degno di questo nome, come dichiara nella Prefazione alle Dieci Canzoni dello stesso anno: una cosa nuova e imprevedibile rispetto a ciò che emergeva da tanti testi in prosa e in versi degli anni precedenti, governati da uno sdegno tra patetico e velleitario dinanzi al “secol di fango” e alla “mediocrità” dei contemporanei, a testimonianza della mobilità dell’orizzonte teorico e morale, tutto in progress, “al presente”, dello scrittore.

Lucido e impietoso, disincantato, il ritratto che ne emerge degli Italiani, nel progressivo crepuscolo di ogni illusione e grandezza, con sullo sfondo le “altre nazioni” europee con “più vita” e con “più società” rispetto all’Italia, istituendo con esse una sorta di confronto-scontro antropologico.

Lucidamente polemico, ma non da non lasciare intravedere dietro la diagnosi dura e spassionata, assieme a una nostalgia di verginità, un lievito diverso, una sollecitudine drammaticamente moderna per la “patria infelice”, proprio mentre si sofferma sgomento di fronte alla “strage delle illusioni”, destinata a riecheggiare lividamente nel “silenzio nudo” del coevo Cantico del gallo silvestre, metafora assoluta dell’”arcano mirabile e spaventoso” dell’esistenza ma anche emblema del deserto morale e culturale dell’Italia.

Un deserto senza consolazione, un “secol morto”, un “secol di fango” oppresso da una greve “nebbia di tedio”, da inguaribile “mediocrità” (Ad Angelo Mai, 1820), davvero: di questa Italia forse davvero è meglio “ridersi” come fanno gl’Italiani, senza bisogno di addentrarsi oltre nell’esegesi leopardiana.

A meno di non soffermarsi su un punto, conclusivo ma non marginale, del Discorso.

Mi riferisco al passaggio dove l’anomalia dell’Italia rispetto ad altri paesi, quelli virtuosi della “rinata civiltà” (Inghilterra e Germania), viene segnalata in termini che rivelano una loro intrigante attualità.

Oggi, dice, “sembra che il tempo del settentrione sia venuto”: come sottrarsi a una sensazione nuova di fronte a questo fantasma della “modernità”, che da qui aleggia e si protende sulla storia, disegnando una sorta di diagramma dell’ineluttabile marcia della civiltà dal Meridione ai paesi del nord dell’Europa, come in una sorta di materialismo dialettico, in nome della “superiorità della loro immaginazione”?

C’è un che di oggettivo e insieme di profetico in questa affermazione. Il rilievo assegnato a un Nord “civile” che sopravanza gli altri paesi, con l’Italia confinata nel confronto in condizioni di oggettiva inferiorità civile non meno che culturale, è l’elevazione del tema della “modernità” a dato necessario oltre ogni negatività.

È in questo che  risiede la vera novità, la parte teoricamente più originale del Discorso e l’attualità di questo Leopardi: nella scommessa sulla “modernità”, un fatto che ha i tratti della necessità di una nuova eticità, di una nuova “scienza dell’uomo”, intesa come nuovo modo di porsi di fronte alla vita con la consapevolezza della piccolezza e finitudine umana e insieme l’esigenza di un modo diverso di stare insieme con gli altri esseri, che sembra essere prerogativa dei popoli giovani del Nord che posseggono quanto è necessario per inaugurare una “rigenerazione” civile e morale (“le virtù, le illusioni, l’entusiasmo, in somma la natura”, Zib. 115).

Oltre “la strage delle illusioni”, oltre il riso illividito di Bruto (un “ridere” per esorcizzare rovine e l’” infinita vanità del tutto”), Leopardi si protende, già “erta la fronte” e “renitente al fato”, nel presagio di nuove consapevolezze ed urgenze sentimentali ed etiche.

 

VINCENZO GUARRACINO, poeta, saggista, critico letterario e d’arte, traduttore dalle lingue classiche, è nato a Ceraso (SA) e vive dal 1971 a Como. Come poeta, ha pubblicato le raccolte Gli gnomi del verso (1979), Dieci inverni (1989), Grilli e spilli (1998), Una visione elementare (2005); Nel nome del Padre (2008); Baladas (2007); Ballate di attese e di nulla (2010).  Come traduttore, ha curato le antologie dei Lirici greci (1991; nuova edizione 2009), dei Poeti latini (1993), e dei Poeti Cristiani dei primi secoli (2017). È autore della traduzione dei Carmi di Catullo (1986 e 2005), dei Versi aurei di Pitagora (1988 e 2005), dei versi latini di A.Rimbaud, Tu vates eris (1988), dei Canti Spirituali di Ildegarda di Bingen (1996) e del Poema sulla Natura di Parmenide (2006). Per la saggistica, ha pubblicato Guida alla lettura di Leopardi (1987 e 1998) e inoltre le edizioni critiche di opere di Giacomo Leopardi (Diario del primo amore e altre prose autobiografiche, 1998).

Oltre ciò, l’antologia Leopardi (1991), l’edizione dell’autografo comasco dell’Appressamento della morte, 1993 e 1998, e l’antologia Giacomo Leopardi. Canti e Pensieri, 2005. Ha curato inoltre le antologie Lettera a Leopardi (cartoline di pittori e poeti dedicate al Poeta nel bicentenario della nascita, 1998), Infinito Leopardi (testi di poeti contemporanei dedicati all’Infinito, 1999), Il verso all’infinito. L’idillio leopardiano e i poeti italiani alla fine del Millennio (1999), Interminati spazi sovrumani silenzi. Un infinito commento: critici, filosofi e scrittori alla ricerca dell’Infinito di Leopardi (2001).  Ha inoltre curato il carteggio Leopardi-Ranieri (Addio, anima mia, 2003 e 2016), il romanzo di Antonio Ranieri, Ginevra o l’orfana della Nunziata (2006).

Nel 2016 ha pubblicato la biografia di Antonio Ranieri, Un nome venerato e caro. La vera storia di Antonio Ranieri oltre il mito del sodalizio con Leopardi. Nel 2011 è uscita in Spagna un’antologia della poesia leopardiana, curata assieme ad Ana Marìa Pinedo Lòpez, col titolo El infinito y otros cantos, e nel 2012 l’antologia Giovanni Pascoli. Poesia esencial. Nel 2017, un’edizione dei Canti di Leopardi (Cantos sueltos), curata assieme alla stessa Ana Marìa Pinedo Lòpez, è uscita in Colombia (Universidad Externado) come magazin della rivista “El Malpensante”.

 

 

PROGETTO STARDEC


Rubriche e servizi

Si segnala, nella rubrica "Grandangolo" curata da Paolo Frandoli, la nuova galleria di immagini dedicata all’oasi faunistica dell’Isola della Cona, situata alle foci dell’Isonzo: vero e proprio tesoro naturalistico della nostra regione.

Lo spazio Letteratura presenta le opere dei vincitori premiati e segnalati nelle due edizioni del concorso internazionale “Giani Stuparich” riservato a giovani scrittori e videoamatori della macroregione Friuli V. Giulia – Austria – Slovenia – Croazia.

La sezione Cinematografia riporta una sintesi del libro di Francesco Cenetiempo “Fulgidi quegli anni!”, dedicato alle attività in campo cinematografico sviluppate della Sezione Spettacolo del CCA nei primi anni del dopoguerra (1947-1956).

Audio-video archivio

Le pagine Appuntamenti offrono la cronologia completa degli eventi realizzati dal Circolo a partire dall'anno 2017. Cliccando sul titolo di ciascuna manifestazione si accede alla relativa sintesi descrittiva, alle note biografiche sui relatori e ai contenuti multimediali disponibili.

Dal 2018 diverse conferenze sono state audio-registrate. Nel biennio 2020-21 numerosi incontri si sono tenuti in videoconferenza su piattaforme dedicate, consentendone la videoregistrazione. In altri casi i relatori hanno messo a disposizione le slide utilizzate a supporto della propria illustrazione.
L’individuazione e l’accesso a tali contenuti è facilitato dai pulsanti AUDIO, VIDEO, SLIDE presenti nell’indice cronologico e linkati direttamente ai record, come nel caso delle recenti conferenze scientifiche "Lady Sapiens", "Sintassi del / nel Tempo", “Origine evoluzione e conseguenze del pensiero unico”.

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