Martedì 10 novembre 2020 - ore 18.00
Incontro con la prof.ssa Nicoletta Zanni
A cura dell'avv Sergio Pacor
Webinar su piattaforma ZOOM al Link
Dal mondo pittorico, e non solo, di Livio Rosignano traspare una quotidianità venata di malinconia, nelle figure assorte o tormentate, negli angoli di strada o sui banconi di osteria, nei caffè spesso deserti, nella città spazzata dalla bora, ma pure una calda e dignitosa umanità consapevole e partecipe di quel vivere quotidiano. La critica d’arte ha già considerato con efficacia i temi che percorrono, in un continuo sforzo di approfondimento, di ricerca e di costante sperimentazione, la sua opera. Tutto parte dal disegno, il motore della creazione artistica, insostituibile per conoscere l’iter di un artista (i suoi disegni sono più di 15.000). Sempre con il notes in tasca a tracciare i ghirigori che seguivano le sue meditazioni. “ Per me, il disegno - diceva - è come la scrittura, la parola, che sviluppa un interrotto colloquio con me stesso, il mio diario segreto che immediatamente mi fa rintracciare con vivezza e precisione attimi e situazioni vissute anche tanto tempo prima … come è accaduto anche per i ritratti di mio padre e di mia madre dipinti molti anni dopo la loro scomparsa” poiché “solo attraverso il ricordo traspare la vera essenza di un volto o di un paesaggio”. La sua opera pittorica (oli, disegni, acqueforti) e i suoi scritti possono ancor’oggi essere dunque occasione di riflessione, collegando tutta la sua produzione, dal 1949 al 2015 (anno della morte), alla grande tradizione della scuola pittorica triestina di inizio Novecento e facendo di Rosignano il prosecutore, dopo Veruda, di quella tradizione che esprime l’“assenza” nei suoi Caffè percorsi di luce ma deserti o dove le poche solitarie figure finiscono per apparire quasi elementi dell’arredamento. Dagli esordi caratterizzati da un’adesione ad un post-impressionismo di tipo fauve di marca tedesca più che parigina, meno volto a raffinatezze decorative ma più teso a cogliere il significato umano di ciò che ha scelto di rappresentare, approdò a toni coloristici più delicati e meno violenti imparando anche dai suoi soggiorni milanesi “un certo gusto per la stesura morbida e il colore che trascolora …. da un oggetto all’altro, da una caraffa a una bottiglia ….”. In bilico dunque tra una pittura violenta, impetuosa, ricca di colore, estrosa e una più meditata, evanescente. Il corrispettivo illustrato della grande letteratura triestina. “Nella galleria di Livio – secondo Tullio Kezich - si riconoscono l’anima in tormento di Slataper, lo scandaglio psicoanalitico di Svevo, l’afflato poetico di Saba”. Rosignano frequentò nella sua vita molti artisti triestini tra cui Levier, Bergagna (con il quale per due anni condivise lo studio), Brumatti, Cerne, Sormani, l’amico Oreste Dequel e di essi scrisse lasciandoci alcune testimonianze puntuali sulla loro individualità e sull’ambiente triestino, anche da lui vissuto, tra Caffè e osterie, con passione e partecipazione. Instancabile ritrattista delle cose, dei luoghi, delle persone. “Sono un pittore che vive su ciò che vede, sulla realtà che è, secondo me, il veicolo più certo che può condurre alla poesia”. Claudio Magris ha colto nelle figure dei dipinti di Rosignano, nella loro “malinconica dignità”, ma al tempo stesso “sanguigna vitalità”, quella insopprimibile voglia di libertà, “una estrema resistenza dell’individuo …. all’ingranaggio sociale che vorrebbe assorbirlo, livellarlo, uniformarlo, renderlo interscambiabile come un oggetto prodotto in serie”. E sono particolarmente contenta di sapere che il quadro di Livio, che avevo timorosamente suggerito a Magris per la copertina del suo libro La mostra, sia stato invece da lui tanto felicemente apprezzato: “non è un caso - sono parole di Magris – che sia una sua opera” - di Livio – “a rappresentare un libro che è così intensamente, dolorosamente, radicalmente espressione della mia vita”. Oggi Livio, della cui amicizia e frequentazione sono orgogliosa, avrebbe sicuramente ritratto la quotidianità del momento di incombente incertezza che l’umanità sta vivendo e chissà quante cose avrebbe ancora potuto dirci, invitandoci a “guardare oltre”.
Nicoletta Zanni - storica dell’arte, ha insegnato Storia della critica d’arte e Museologia, in qualità di professore associato, presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Trieste.
Numerose le sue pubblicazioni sugli aspetti dell’architettura e dell’urbanistica a Trieste e nell’area centroeuropea e anglosassone, nel periodo compreso tra il Neoclassicismo e gli anni Trenta del Novecento. Si ricordano gli studi sul Palazzo della Borsa Vecchia di Antonio Mollari, sulla tipologia dell’Ospedale Maggiore, sull’eclettismo di Giorgio Polli, sul linguaggio architettonico di Robert Adam e di John Soane e sul Doric revival in Gran Bretagna. Ha dedicato un volume all’immagine della città termale di Bath e ai suoi riferimenti greco-romani, di Palmira in particolare. Ha avuto occasione di approfondire le esperienze della pittura e critica d’arte italiana del Novecento, tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta, con studi sulla pittura murale e gli affreschi di Carlo Sbisà, sui quadri “minimi” della Collezione Kostoris e sulle riviste d’arte quali “Vernice”, “Le Arti”, “Ponterosso”; per il volume dell’Einaudi, dedicato al Friuli Venezia Giulia, ha sottolineato il respiro europeo delle arti figurative a Trieste tra Otto e Novecento.
Ha partecipato quale relatore a vari Convegni e Seminari in Italia e all’estero (in particolare, Gran Bretagna, Stati Uniti d’America, Repubblica Popolare Cinese) e ha collaborato all’organizzazione di importanti mostre nazionali e internazionali, tra cui La Fortuna di Paestum e la memoria moderna del dorico (1986); Everyday masterpieces (1988); L’architettura del quotidiano 1930-1940 (1990); 1953: l’Italia era già qui. Pittura italiana contemporanea a Trieste (2008); Libri e immagini di Casa Svevo. Dalle collezioni di Antonio Fonda Savio (2011).
Ha curato la sistemazione della Pinacoteca di Ateneo (ospitata nel Rettorato dell’Università) pubblicandone una Guida rapida in italiano e in inglese ed è stata responsabile della sezione di arti visive dell’“Archivio degli scrittori e della cultura regionale” (ospitato nella sede del Dipartimento di Studi Umanistici).