Biagio Marin nacque il 29 giugno del 1891 a Grado, allora terra dell'impero asburgico, in una famiglia borghese di origini modeste. Orfano di padre e poi anche di madre, venne accudito dalla nonna paterna. A Gorizia frequentò il ginnasio di lingua tedesca, ma completò gli studi superiori a Pisino d'Istria presso le Scuole Reali Superiori. Come molti altri studenti di Trieste e Gorizia, Scipio Slataper, Carlo Michelstaedter, Giani e Carlo Stuparich tra questi, andò a terminare gli studi a Firenze, allora Università italiana di destinazione per molti studenti triestini, tra l'altro centro del rinnovamento culturale italiano. Qui Giovanni Papini e Giuseppe Prezzolini, con cui Marin intrattenne poi un lungo carteggio, avevano fondato una rivista d'avanguardia, «La Voce».

Il passaggio da un'Italia agraria a una industriale aveva provocato infatti un importante ripensamento sui modelli culturali del passato, provocando una serie di dibattiti sui temi più svariati, letterari e politici, artistici ed economici, civili e sociali e così via, che trovavano spazio in questa rivista capace di attirare intellettuali di ogni provenienza ideologica e dei più diversi settori culturali. Ma il giovane Marin non trovò un ambiente che lo potesse soddisfare e preferì recarsi nell'altro centro universitario verso cui gravitavano i triestini, Vienna, capitale dell'impero austro-ungarico. Frequentò, dal 1912, la Facoltà di filosofia e pubblicò, anche sull'onda delle suggestioni vociane, la sua prima raccolta di poesia, Fiuri de tapo, in dialetto gradese. Nel 1914 tornò a Firenze, dove si fidanzò con Pina Marini, che sposò l'anno seguente e con la quale ebbe tre figlie e un maschio. Allo scoppio della Grande Guerra, nonostante la sua ammirazione per la civiltà austriaca, decise di arruolarsi nell'esercito italiano, come Slataper e gli Stuparich, ma fu ben presto ricoverato in un sanatorio svizzero. Completò i suoi studi di filosofia all'Università di Roma, laureandosi con Bernardino Varisco.

Tornato sulle sue terre, ora italiane, insegnò filosofia a Gorizia, ma i suoi metodi educativi, assai poco conformisti e piuttosto polemici nei confronti delle istituzioni ecclesiastiche, gli fecero perdere la cattedra. Per un breve periodo ebbe l'incarico di ispettore scolastico fino a che, nel 1923 cominciò il suo servizio all'Azienda di soggiorno di Grado, dove restò fino al 1938, quando decise di tornare all'insegnamento, questa volta a Trieste. Inizialmente favorevole al fascismo, tanto da essere diventato segretario del fascio di Grado e, nel 1936, da volersi arruolare nelle guerre coloniali, cominciò a distaccarsene con lo scoppio del secondo conflitto mondiale, cui l'Italia era evidentemente impreparata. Contestava anche le motivazioni che portavano ad occupare gli alti gradi delle gerarchie pubbliche, certamente non attinenti a criteri di autorevolezza.

La morte del figlio Falco il 25 luglio 1943, in Slovenia, segnò per lui un periodo di profonda riflessione sulle sue scelte politiche, esistenziali ed etiche. Intanto, lasciato l'insegnamento, era divenuto bibliotecario delle Assicurazioni Generali a Trieste, la sede principale di una azienda che aveva rapporti internazionali. Sollevato anche economicamente per quelle che erano le sue responsabilità di pater familias, e pur lontano dalla luce della sua Grado, abbandonata anche per alcuni suoi atteggiamenti critici nei confronti del regime, si sentiva a suo agio nella buia e polverosa biblioteca di quella compagnia assicurativa, anche se non dimenticò mai di avere costretto il dipendente che lo aveva preaceduto a rinunciare a quel posto, che manterrà sino al pensionamento, nel 1956, al compimento dei suoi 65 anni. Qui trovò persino chi l'aiutò a trascrivere le sue poesie ed i suoi testi, ché Marin era un inguaribile "manoscrittore”. A Trieste aveva guadagnato stima e amici, tra cui un altro illustre bibliotecario, Stelio Crise, e una funzione culturale specifica in una città di confine, dilaniata dalle incertezze sul suo destino: fece attività politica, entrò a far parte del CLN locale e iniziò a collaborare con l'appena costituito Circolo della Cultura e delle Arti, il cui primo Presidente fu Giani Stuparich, divenendo, dal 1948, direttore della sezione Lettere.

Alle Generali Marin intanto aveva stretto amicizia con il collega Duilio Magris, che nel 1953 gli presentò il figlio Claudio, divenuto presto suo figliolo d'anima. Mentre se ne stava andando in pensione, e tornando a Grado, fu proprio il brillante studente e futuro germanista a promettergli di far conoscere a una platea ampia il suo lavoro poetico, che intanto proseguiva spedito. Dopo il 1927, anno di pubblicazione delle Cansone Picole, pur continuando a comporre non aveva dato alle stampe altre sillogi poetiche. Bisogna attendere il 1951 per vedere I canti de l’isola, editi a Udine, che gli avrebbe dato la notorietà del Premio Barbarani: comprendevano oltre 800 poesie, tra cui le raccolte Fiuri de tapo e La Girlanda de gno suore.

Nel 1961 pubblicò la raccolta Solitàe, con la Lettera accompagnatoria a Scheiwiller e ai lettori di Pasolini, che ebbe il merito di costruirgli un'identità poetica con cui la critica successiva si è poi misurata. Nel 1965, con le poesie del Non tempo del mare, vinse il premio Bagutta. Nell’ambito della prosa era del 1934 lo splendido volume Grado, l’isola d’oro, in cui attraverso la liricità della prosa breve, apprezzata da Diego Valeri anche per la misura ed il passo, raccontava l’isola della sua infanzia, il suo paesaggio, la sua gente e la sua storia, facendone già un mito poetico. Nel 1940 aveva pubblicato un volume dedicato a Gorizia, cui seguì nel 1956 la seconda edizione, intitolata Gorizia, la città mutilata. Era infatti la città martire non solo della Grande Guerra, ma anche del secondo conflitto mondiale, divisa com’era stata da un confine. Era tuttavia il luogo della sua prima formazione: di quegli anni, sempre attraverso la misura della prosa breve, ricordava il turbamento di esperienze non più adolescenziali; i suoi slanci di giovane professore alla ricerca di quell’innovazione sul piano pedagogico che gli sarebbe costata cara; la sua collaborazione all’«Azione», testimonianza del suo impegno anche civile; l'avvento del fascismo al potere e la morte dell'amico Nino Paternolli. Vennero poi altre raccolte di versi, tra cui A sol calao che nel 1974 gli valse il premio del Presidente nell'ambito del premio Viareggio.

Ma il suicidio del nipote Guido nel 1977 e la morte della moglie Pina, oltre al decadimento fisico che gli provocò problemi d'udito e di vista, lo portarono a piegare ad esiti più cupi i temi che gli erano stati sempre cari e i paesaggi di Grado, la sua isola dove morì la vigilia di Natale del 1985. Nel 1981 era stato proposto per il Premio Nobel.

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